domenica 2 agosto 2015

Franco Fedeli, imprenditore a nove cifre: affari e bilanci dell'acquirente


Stavolta si fa sul serio. Franco Fedeli, classe 1943, prossimo presidente della Sambenedettese è imprenditore di lungo corso, solido e strutturato.

Come dirigente sportivo, dalla seconda metà degli anni Novanta ha guidato, nell'ordine, Ternana, Latina, Ancona e a tutt’oggi è presidente e socio di maggioranza (70%) del Rieti a cui in un modo o, nell'altro, dirà rapidamente addio. Questo potete leggero dappertutto, accanto a dichiarazioni da scongiuri su una veloce risalita verso la B, calciatori da provinare, un allenatore destinato ad essere esonerato senza ancora aver messo la prima tacca sulla panchina, schemi di gioco, ripescaggi e sortilegi... insomma, il solito menù. Qui vi raccontiamo altro, ciò che la stampa sambenedettese non sa offrire: notizie documentate e ragionate sulle capacità economiche dell'imprenditore Fedeli. Dati e risultati.

Cominciamo con il dire che il volume di affari delle imprese di famiglia è a nove cifre, dell’ordine delle centinaia di milioni annui e che, oltre alla ricchissima quota di utili che gli spetta come socio, Franco Fedeli incassa compensi da amministratore per oltre 750mila euro l’anno. Soldi veri.

Per scrivere queste note abbiamo consultato quattrocento pagine di relazioni gestionali e bilanci

Tutto ruota attorno alla catena di supermercati Super Elite, ramificata tra la capitale e il litorale laziale e con due negozi in Umbria, a Norcia e nella natia Cascia, per un totale di 42 punti vendita collegati da un servizio di forniture di proprietà. Parte degli approvvigionamenti è infatti garantita dalla “Super Elite spa”, l’unica per azioni nella decina di società dei Fedeli; applicando nei confronti delle consorelle ricarichi molto contenuti (“appena sufficienti a coprire gli ingenti costi gestionali”, si dice nella relazione gestionale) ha chiuso il bilancio 2014 con un utile di 350mila euro a fronte di affari per 152 milioni, di cui 117 di forniture. L’intero pacchetto azionario della spa è in mano ai coniugi Fedeli: Franco ha il 51% ed è amministratore unico, e come tale si è staccato un compenso di 306mila euro, la moglie detiene il resto.

La gestione dei punti vendita avviene attraverso un pacchetto di società, tutte amministrate dal capofamiglia ma con le quote di proprietà divise in quattro parti uguali con la moglie e i due figli. Si tratta di aziende in salute che, nonostante la crisi, mostrano performance positive. Vediamole:

Super Elite Ce.Di. che nel 2014 ha guadagnato tanto da ripianare interamente il passivo di oltre 307mila euro dell’anno precedente e segnare un ulteriore utile di 34mila euro. Un ottimo risultato che è valso all’unico amministratore Franco Fedeli 120mila euro di compenso.

Super Elite 4 il cui ultimo bilancio segna affari per 12,4 milioni e un utile, pagate le tasse, di 100mila euro, il doppio dell’anno precedente. 
Compenso per l’amministrato Franco Fedeli: 90mila euro.

Super Elite 5 sotto il cui controllo sono stati battuti scontrini per 20,8 milioni di euro (valore complessivo della produzione: 23 milioni), per un attivo di 1.396mila euro e un utile, pagate tutte le tasse, di 892.996 euro (in crescita di 50mila euro sul 2013).
Compenso per l’amministratore Franco Fedeli: 90mila euro.

Super Elite 6 che ha prodotto un giro di affari da 30,3 milioni, di cui 27,55 dalle vendite, chiudendo l’anno con un attivo di 1.309mila euro e un utile di 787mila euro (84mila euro in più rispetto al 2013).
Compenso per l’amministratore Franco Fedeli: 90mila euro.

Caso a parte Super Elite 1, veicolo pressoché fermo, che nel 2013 non aveva prodotto ricavi e che l’anno scorso è stato utilizzato per movimentare 35mila euro di merce con una perdita di qualche centinaio di euro. Per la precisione 340, meno che briciole rispetto ai volumi dei Fedeli.

Con la moglie Franco Fedeli possiede anche Forno Elite (55% lui, 45% lei) che ha generato un utile anno di centomila euro (nel 2013, ultimo bilancio ad oggi registrato 103.123, l’anno prima 99.658). Il capofamiglia è amministratore unico anche di questa società, incarico si è staccato un assegno di 45.500 euro.

Gli approvvigionamenti dei prodotti alimentari passano anche per la Carne & Frutta Elite e la Ittica Elite, srl gemelle varate nell’estate del 2012, con la collaudata compagine sociale a quattro: 25% a papà Franco, 25% a sua moglie, 25% a ciascuno dei due pargoli.
La Carne & Frutta nel 2013 ha consegnato prodotti per oltre dieci milioni di euro, mirando giusto a coprire le spese e finendo con il registrare una leggera perdita: 8mila euro. Amministratore unico, anche qui, è il capofamiglia a cui attribuito un compenso di 40mila euro. Suo figlio guida invece la Ittica che nel 2013 (per entrambe le società non sono stati depositati documenti più recenti) aveva un giro di affari di due milioni e un utile di 94 mila euro, primo acuto di un avvio lento.

E’ affare di famiglia anche la società Fonte Laurentina, ma la proprietà presenta una ripartizione inedita: il 40% a Franco, il 20% ciascuno alla moglie e ai due figli. Nel 2013 aveva fatto registrare un utile di 9.300 euro.

Formalmente Franco Fedeli partecipa con il 25% anche alla Supermercati Alimentari Cascia srl, l'unica impresa commerciale in cui non è accompagnato almeno dalla moglie, ma a ben vedere si tratta di un'attività commerciale che ha chiuso i battenti e che attende solo di essere chiusa anche sotto il profilo societario.

In totale sono undici società partecipate, di cui dieci con ruolo di amministratore. Il quadro sinottico - che in più comprende l'Fc Rieti - è qui. Approfondimenti su richiesta.

mercoledì 8 luglio 2015

Intervallo con pecore: le carte della giustizia sportiva sul Teramo


Ci mancava solo questo, nella nostra estate tormentata, lo spettro delle pecore in serie B. E manco per ripescaggio, ma come promozione diretta, da vincitori del girone di Lega Pro. Il presidente di Lega, Andrea Abodi, intervistato dal  Sole 24 Ore (vedi qui) è stato chiarissimo: se il Teramo salta per l’inchiesta di Catanzaro sul calcio sporco, tocca all’Ascoli. Vaffanculo. La situazione è maledettamente seria. La giustizia sportiva è veloce e non va per il sottile, e stavolta c’è pure aria di pene esemplari.

La procura federale di Stefano Palazzi è al lavoro sul dossier Teramo da qualche giorno. Cosa ha in mano? L’avremmo voluto sapere dai giornali locali, ma niente. Su quelli abbiamo potuto leggere i comunicati stampa dei club coinvolti, molte interviste di parte un po’ di cronaca spiccia e qualche intercettazione relativa all’inchiesta penale. Manca la ciccia. L’inchiesta penale va a caccia di reati, produce processi, affibbia condanne in un tempo che è lungo anni e anni: chi se ne frega!  In questa calda estate, da sotto l’ombrellone ci interessa l’inchiesta sportiva che in un mese deve decidere se il Teramo mantiene o no la B, con ciò che ne segue.

Cosa ha in mano la procura federale? Una informativa di 59 pagine in cui gli investigatori calabresi hanno selezionato e sublimato le accuse relative alla frode sportiva, ricostruendo fatti specifici, ciascuno accompagnato da riscontri e trascrizioni di intercettazioni. Ci abbiamo lavorato un po’, scomodando amicizie e contatti, in questi giorni in cui la vicenda Samb è in stand-by, ma la abbiamo avuta. Eccola.  



La contestazione è nota: il Teramo avrebbe comprato la partita-promozione di Savona. Era la penultima di campionato, i biancorossi avevano quattro punti di vantaggio sull’Ascoli, ma erano in piena fase calante. Paura di vincere, si chiama in gergo. La settimana precedente avevano fallito il colpo decisivo, la successiva avrebbero avuto uno scontro diretto da infarto. Meglio non rischiare, chiuderla lì: trentamila euro e si festeggia subito la B.

Che combine ci sia stata, ormai l’hanno compreso anche i tifosi più ottusi. Le intercettazioni che qua e là abbiamo potuto leggere sono chiarissime, negare l’evidenza sarebbe un suicidio. Il Teramo che ha ingaggiato un azzeccagarbugli accorto e navigato, l’avvocato Eduardo Chiacchio, punta piuttosto ad alzare un cordone sanitario attorno al presidente Campitelli, offrendo come agnello sacrificale il ds Di Giuseppe, in coppia con “l’esperto di frodi sportive” (la definizione è dell’antimafia calabrese) Di Nicola. Saltasse fuori un coinvolgimento del presidente, scatterebbe la “responsabilità diretta” per illecito sportivo e il Teramo finirebbe dritto in serie D; in caso contrario può sperare di cavarsela con una “responsabilità oggettiva” che, molto in teoria, sotto l’influsso di un particolare allineamento di palloni e pianeti, potrebbe pure finire a tarallucci e vino, con la radiazione dei dirigenti e un paio di punti di penalizzazione che non sposterebbero l’esito del torneo: Teramo promosso, Ascoli secondo. Magari!

Di Nicola è allineato. Alla procura federale che lo ha interrogato su un primo blocco di partite aggiustate, nella villa di Morro D’Oro in cui è agli arresti domiciliari, per dieci ore ha sostanzialmente ripetuto di essere un santo che magari ha combinato qualche marachella, ma per proprio conto, non in combutta con dirigenti o società. Capito l’antifona? Quando sarà il suo turno, Di Giuseppe potrà spiegare le telefonate più scottanti dicendo di aver agito alle spalle del suo presidente, per un qualche interesse personale, un altro Primo Greganti…  In effetti, nelle intercettazioni (il telefono sotto controllo era quello di Di Nicola) il nome del presidente non spunta mai - come la difesa si è affrettata a far trapelare - ma purtroppo non basta a tenerlo fuori.

E’ ora di aprire l’informativa trasmessa dalla procura a Palazzi. Sottolineando una questione chiave: nella giustizia sportiva  l’onere della prova è in capo a chi si difende. Se in un processo penale è l’accusa a dover dimostrare la colpevolezza dell’imputato e, al minimo dubbio scatta l’assoluzione, qui avviene esattamente il contrario. Nel dubbio la giustizia sportiva condanna. E la giustizia sportiva parte da queste 59 pagine in cui, chiarite generalità e accuse degli indagati, subito gli inquirenti passano ad esaminare quella che brutalmente definiscono “Combine”. 

 “Nelle pagine  a seguire – si legge nell’informativa - le risultanze informative intercettive dimostreranno come la dirigenza del Teramo calcio, nella persona del presidente Campitelli Luciano e del direttore sportivo Di Giuseppe Marcello, diano mandato all’esperto di frodi sportive Di Nicola Ercole affinché questi possa intervenire, in modo fraudolento, al fine di alterare il risultato della partita di calcio di Lega Pro, girone B, penultima di campionato, tra il Savona e il Teramo, in favore di quest’ultimo; vittoria che avrebbe garantito la promozione al campionato italiano di serie B”. Le “pagine a seguire” raccontano di un grande fermento in casa Teramo già dal lunedì, con Di Giuseppe che chiama e incontra Di Nicola il quale si mette subito all'opera. Nel pomeriggio, via sms, confida ad un’amica di essere da Campitelli,  nel corso della settimana prima sonda il calciatore Davide Matteini e poi vira sull’ex allenatore del Savona Ninni Corda e sul ds dei liguri Marco Barghigiani. L’attività di Di Nicola è frenetica, con decine di telefonate, molte a Di Giuseppe assieme a cui incontra Corda a Bisceglie e  Barghigiani all’Aquila.

Gli incontri decisivi sono avvenuti ad Albissola, nel Savonese, prima e dopo la partita. Il primo per accordarsi, il secondo per pagare, dicono gli investigatori che sono convinti della presenza di Campitelli ad entrambi gli appuntamenti. Per il primo c’è una telefonata (2 maggio – 11.53) di Di Giuseppe che dice a Di Nicola di essere arrivato: “noi stiamo qua, che macchina c’hanno loro? (…) noi stiamo con la Maserati”. La Maserati è di Campitelli, il plurale più che sospetto. Per il secondo la testimonianza di Barghigiani che ha messo a verbale di un incontro con Campitelli dopo la partita, “per congratularmi con lui della promozione”. Dopo la partita-promozione, sulla strada del ritorno da Savona, mentre in piazza migliaia di teramani attendevano presidente e calciatori per festeggiare, Campitelli avrebbe deviato su Albissola soltanto per ricevere i complimenti di uno sconosciuto ds? Chi gli crede?

C’è di più. C’è Di Nicola a far da anticamera da Campitelli, mentre Barghigiani al telefono reclama il pagamento dell’ultima tranche e c’è il passaggio (2 maggio 8.47) in cui Di Nicola indottrina Di Giuseppe su come comportarsi davanti ai rappresentanti del Savona e soprattutto gli dice: “Tu gli devi dire che non deve parlare di niente, gli devi dire al tuo capo... Hai capito?”.


Il messaggino, la Maserati, le dichiarazioni di Barghigiani, le telefonate… La magistratura sportiva nel dubbio spara. E per quanto Campitelli sia basso, lo fa secco. Maledetto.


mercoledì 1 luglio 2015

Gennaro l’innominato e il socio Massimo: gli altri Buonocunto

Vincenzo, Giovanni e Massimo. I giornali sambenedettesi (carta e web) da settimane ripetono la filastrocca dei quattro fratelli Buonocunto nominandone soltanto tre. Il quarto? Gennaro, classe 1962, il secondogenito che negli anni Novanta aveva in mano la cartoleria in cui Giovanni si è fatto le ossa prima di superare l’esame da avvocato e che oggi è amministratore dell’azienda “di poltrone per aereo” Kentor, 10.000 euro di capitale sociale, di cui 4.000 in suo possesso e 6.000 sottoscritto da Massimo. Massimo è socio anche in un’altra srl, la Euromontaggi che nel 2013, ultimo bilancio registrato, ha prodotto un utile di 19.430 euro. Non certo una fortuna.


Ci sarebbe molto altro da dire sui Buonocunto ma, per ora, ci fermiamo qui.  Perché Vincenzo, Giovanni, Massimo e Gennaro hanno capito l’antifona e rinunciano alla Samb. 

Far chiarezza, farsi trovare informati e preparati, raccontarsele tutte fino in fondo (come fa DossierSamb) serve. Sempre.


lunedì 29 giugno 2015

Buonocunto sconosciuti al registro imprese (E intanto Moneti...)

Se davvero acquisiranno quote della Sambenedettese, gli avvocati Buonocunto da Portici potranno finalmente brindare al proprio debutto imprenditoriale. Perché ad oggi, 30 giugno, né l'uno né l'altro hanno partecipazioni societarie, di alcun genere. Incredibile, per due professionisti presentati come uomini di mondo e di affari, ma è così: sconosciuti al registro imprese delle Camere di Commercio italiane.

I due fratelli non posseggono quote societarie, non sono manager o dirigenti, non hanno cariche di controllo d'azienda. Moneti, tanto per dire, oltre che nella Samb (da venerdì ha preso la carica di amministratore unico) è presente in altre quattro imprese. Loro nulla, come risulta dalle interrogazioni e visure camerali appena estratte:



Niente di niente. Anche la ricerca attraverso i codici fiscali (sono dati pubblici, informazioni essenziali dell'albo avvocati) dà lo stesso esito. E per Vincenzo neppure estendere all'indietro nel tempo la visura, chiedendo delle cariche scadute, produce risultati: nominativo completamente sconosciuto. Giovanni ha invece un piccolo passato da socio (senza poteri di amministrazione) di una cartoleria di San Giorgio a Cremano che è stata chiusa più di 15 anni fa. Chissà se già allora studiava legge. Avvocato, in ogni caso, Giovanni Buonocunto lo è diventato soltanto nel 2008, a 41 anni suonati. Meglio tardi che mai. Il fratello Vincenzo, che con lui condivide studio e professione (leggi il post), ce l'ha fatta più ragionevolmente sulla soglia dei trent'anni.





E mo questo che c'entra? (Palumbo, dal naufragio Orlandina a Moneti)

Tra gli interlocutori del pres Moneti, nelle ultime ore è comparso tale Carmine Palumbo da Benevento.

Vestito in completo bianco su camicia bianca leziosa, bottoni vistosi (sempre sobri nel vestire, questi uomini di calcio campani...) dice di sé di essere manager sportivo da oltre 15 anni.

Le cronache per la passata stagione raccontano dell'approdo all'Orlandina, serie D siciliana, in una girandola di presidenti, dirigenti e filibustieri da far girare la testa anche a guardarla da lontano. Una farsa, che per tifosi e creditori si è risolta in dramma.

Campionato imbarazzante, il 2014/2015 dell'Orlandina: 11 reti all'attivo, 146 subite; 8 punti in 34 gare, ridotti a 6 dalle penalizzazioni arrivate per aver saltato una trasferta e non essere riusciti a mettere in campo un minimo di 7 tesserati in una gara casalinga.
La domanda sorge spontanea: che c'entra quel Palumbo con Moneti e, soprattutto, con la nostra Samb? Vorremmo mai che fosse una pedina nei rapporti con i corregionali napoletani...

Ps. Il nufragio dell'Orlandina ha riempito pagine e pagine del web, basta googlare. Un parziale resoconto è qui. Qualcosa sul fenomeno Palumbo anche qui, qui e qui.



domenica 28 giugno 2015

Studio e bottega: il quartier generale degli avvocati Buonocunto


Niente paura, non hanno bombardato Viale De Gasperi. Siamo a Portici, corso Garibaldi 162, dove hanno sede gli avvocati Vincenzo e Giovanni Buonocunto, due dei quattro fratelli a cui Moneti vuole legare le sorti della beneamata, ricconi che verrebbero a San Benedetto solo per amore dello sport. Lo studio è in fondo al vialetto, all'angolo del bar: edificio B, scala B.
Ufficio in condominio e un'unica linea tel/fax, quando perfino la Sambenedettese ne ha ormai due distinte...

Per navigare la foto clicca qui
Nb. Le girandole ai balconi servono a tener lontani i piccioni dalla biancheria stesa, raccontano nella polleria al piano terra.


sabato 27 giugno 2015

Stadio a Moneti, che fretta c'era? (E qualche altro interrogativo)

Solita maglietta nera-talismano, il Gianni Moneti che venerdì si è presentato in sala stampa è parso più esuberante del solito. Una sicumera sospetta, incomprensibile per chi non sapesse dell'enorme regalo che il presidente aveva appena ricevuto dall'amministrazione comunale: la proroga della gestione dello stadio. Sotto silenzio (la maggioranza tace, le opposizioni dormono, la stampa locale... lasciamo perdere) giovedì la giunta (tutti presenti, tutti favorevoli) ha deciso che Moneti potrà tenere il Riviera delle Palme almeno per un altro anno, in barba alla gara pubblica per l'affidamento che sí, in condizioni normali sarebbe necessaria (almeno questo la giunta lo ha dovuto riconoscere), ma che con tutto il casino che s'è creato attorno all'affare stadio, se la spicci il prossimo sindaco... 

La tempistica è incredibile: dalla richiesta alla concessione passano appena tre giorni. Lunedì Moneti protocolla la sua letterina (n° 40535), giovedì la questione è già in giunta, sul cui tavolo è apparecchiata una proposta di deliberazione che, senza troppo discutere, viene approvata. Neanche a dirlo, il coro degli assessori vota anche l'immediata esecutività che - lo sappiamo tutti - è la corsia preferenziale attraverso cui i provvedimenti più urgenti vengono dichiarati subito validi, anche prima di essere pubblicati all'albo, pure prima di informare la cittadinanza. Che fretta c'era?

Una gran fretta, a giudicare dalle mosse di Moneti che va subito al sodo. La delibera 104 dà incarico al dirigente del settore sportivo di procedere con la proroga alle stesse condizioni dell'anno precedente. E' l'ultimo atto di una riunione cominciata alle 18 e che ha deciso sul trasferimento di due dipendenti, approvato il piano del comandante dei vigili per il potenziamento dei controlli stradali e dato il via libera ad un'isola pedonale a Porto D'Ascoli. Sarà pur finita tardi, la riunione... Ma l'indomani il presidente può presentarsi alla conferenza stampa con cui annuncia il no all'offerta d'acquisto da parte della cordata animata da Noi Samb e declamare bello tronfio "la trattativa è finita qui". Avrebbe avuto la stessa sicumera senza il regalo del sindaco? Se la gestione del Riviera fosse ancora in sospeso, con l'eventualità (remota e malaugurata) che possa andare ad un'altra società sambenedettese, Moneti avrebbe avuto il coraggio di sbattere la porta in faccia all'azionariato popolare o si sarebbe seduto al tavolo del confronto? Perché dargli questo vantaggio determinante?

Questo è il Comune di San Benedetto. Altrove gli amministratori scelgono e decidono diversamente; basta guardarsi attorno. A Parma proprio oggi una cordata pronta a rilevare la squadra si è ritirata perché il Comune ha deciso di affidare lo stadio (l'amato Tardini, lacrimuccia...) all'altra. Gli amministratori decidono e segnano il destino delle proprie comunità. A Parma favorendo una cordata locale, fatta di imprenditori e azionariato popolare. A Parma, non a San Benedetto. 

La delibera 104 del 25/06/2015